Stupirsi per le grandi opere di Dio
Il brano evangelico odierno racconta la guarigione di un sordomuto (Mc 7, 31-37). “Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli” (v 31). Le indicazioni geografiche riportate dall’evangelista sono particolarmente interessanti: Gesù, anziché seguire un percorso diretto alla meta, compie un giro più largo e più lungo in terra pagana. Si vuole evidenziare così un dato teologico: la buona notizia portata da Gesù non riguarda solo Israele ma è rivolta anche ai pagani cioè è universale. “Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano” (v 32). Il termine “sordomuto” nel testo originale indica un uomo incapace di sentire e più che un muto in senso letterale uno affetto da balbuzie cioè da grandi difficoltà di comunicazione. Una persona dunque che vive in mondo di silenzio e in un sofferto isolamento che lo emargina e gli impedisce una vita di relazioni. Quest’uomo è portato a Gesù da altri che hanno a cuore la sua sofferenza perché mediante un gesto sacro lo possa guarire. Anche noi talvolta, in alcune situazioni di vita, possiamo sentirci o essere come quel sordomuto e quanto è importante che qualcuno ci conduca a Gesù. Quanto importante è che anche noi siamo come quegli “altri” che si fanno carico di chi soffre e li presentano al Signore. “Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua. Guardando quindi verso il cielo emise un sospiro e gli disse: Effatà cioè Apriti! E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente” (vv 33-35). Immaginiamo questa scena. Gesù vuole stare da solo con il sordomuto e lo trascina lontano dagli sguardi della folla, dai curiosi. Egli si rivela non nel chiasso ma nell’intimità e nella profondità di un incontro personale. E poi c’è il coinvolgimento di tutta la persona di Gesù espresso in modo preciso e dettagliato: infatti compie sul sordomuto dei gesti concreti ed emblematici. Mette sé stesso, il suo corpo, a contatto con il corpo del sordomuto: le sue dita negli orecchi che non possono sentire e la sua saliva sulla lingua che non sa parlare con gli altri. Quindi Gesù si rivolge al cielo ed emette un profondo sospiro, un gemito, un grido di sofferenza: qualcosa che tocca profondamente Gesù. Poi pronuncia la parola “Effatà, Apriti!” e quel sordomuto, grazie al suo intervento si “aprì”: prima era chiuso, isolato, incapace di comunicare. Ora invece è guarito, può sentire e parlare correttamente con chi gli sta attorno. La guarigione rappresenta per lui un’apertura agli altri e al mondo, un’apertura che coinvolge tutta la sua persona e la sua vita. Ma c’è anche un’altra chiusura che non dipende dagli organi di senso ma riguarda l’interiorità, il “cuore”, ed è proprio da questa chiusura che il Signore è venuto a liberarci per renderci capaci di vivere la relazione con Dio e con gli altri. Egli si è incarnato perché l’uomo, reso sordo e muto dal peccato, diventi capace di ascoltare la parola di Dio e comunicare con Lui e con i fratelli. Ecco perchè la parola e il gesto dell’Effatà sono stati inseriti nel Rito del Battesimo: il celebrante tocca le orecchie e la bocca del neo-battezzato pregando perché possa presto ascoltare la Parola di Dio e professare la fede. “E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano” (v 36). Gesù che aveva ridato l’udito e la parola al sordomuto ora paradossalmente chiede a tutti di tacere. Egli vuole evitare il rischio di essere considerato un Salvatore potente secondo una logica umana oppure frainteso come un semplice guaritore. Ma più Gesù chiede il silenzio più si divulga l’accaduto. E la folla lo racconta agli altri al punto che piena di stupore afferma “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!” (v 37). Noi oggi possiamo dire altrettanto? Sappiamo stupirci delle grandi cose che Dio fa per noi? Sappiamo, con coraggio, farle conoscere ad altri a lode della sua gloria?